L'Organo a canne racchiude tutte le frequenze sonore percepibili dall'umano orecchio; anzi le supera tanto negli acuti quanto nei bassi, sfiorando ultrasuoni e infrasuoni. La sua asettica impostazione pneumo-meccanica (che non permette alle dita dell'uomo di coinvolgerlo direttamente nelle sue terrene passionalità) lo fa ritenere da secoli lo strumento sacro e per eccellenza.
Ma non solo per questo lo è, dato che a parer mio l'Organo rifiuta il ruolo di strumento musicale attribuitogli dagli uomoni e assume quello di organo sonoro: "Insomma..." - sembra volerci dire - "...semplicemente esistendo, io assolvo al compito per il quale fui a voi ispirato!" Nella sua enorme complessità meccanica e architettonica esso rappresenta al suo interno la rappresentazione simbolica della funzione adorante dei cori angelici; per cui, al limite, potrebbe anche non essere suonato ma, nella sua forma allusiva, contemplato!
L'Organo è sicuramente un'icona. L'Organo è sicuramente angelica dimora: Potenze nel mantice, Cherubini nel ventilabro, Serafici nell'aria vorticante, Troni e Dominazioni nelle tastiere, Virtù nei registri, Angeli e Arcangeli nelle canne.
Tra i miei ricordi di giovane musicista ci sono un Organo del '700, una chiesa barocca a Roma in Via Madonna de' Monti, una scaletta che saliva al vecchio organo, i ragazzi dell'oratorio che andavano a pompare aria nei suoi mantici, una tastiera d'ingiallito avorio, dei registri a pistone rumorosissimi, una dozzina di pedali e un vecchio organista che suonava Frescobaldi.
Quando l'organista, che fu poi mio maestro, chiudeva le gelosie e l'Organo suonava in sordina, io andavo a premere l'orecchio sul freddo legno della cella organaria, e in tal modo mi sembrava di origliare alla porta del Paradiso! E Continuavo a sentirlo vivente e pulsante, l'Organo, Anche quando finite le sacre funzioni esso taceva e i suoi mantici trattenevano il respiro. Perché i suoi antichi meccanismi, assestandosi, continuavano a esibirsi in una sequenza di piccoli rumori e scricchiolii che l'eco della chiesa amplificava e, all'orecchio di me ragazzo, rendeva ancor più suggestivi.
Poi una fatidica sera, terminata la benedizione, l'organista mi disse: "Su, provalo!" Mi bastò sfiorare un tasto per entrare in contatto con lui, per captarne la vitalità e il carattere, e fu sufficiente il suono di una sola nota a far vibrare violentemente la mia anima! Quando poi sedetti sulla vecchia panca e, finalmente, suonai un accordo a piene mani provai una sensazione di indicibile potenza, anzi di onnipotenza!
Marcello Giombini